4 dicembre 2008

Presentazione

La vulgata popolare dà un significato dispregiativo al termine “repubblichino”…. Mai parola invece assunse un significato più alto, più nobile, più onorato nel mondo come quello di“repubblichino”, il soldato che non si arrende dinnanzi alla vergogna del tradimento dell’8.9.43,che combatte e muore per l’onore d’Italia.Questo ci distingue profondamente dai repubblicani, figli di questa repubblica resistenzialista che si alimenta attraverso i valori degli yankee, del grande fratello e chi vuol essere milionario, in una parola.Noi soldati della R.S.I. siamo ancora onorati di aver partecipato all’epopea “repubblichina”, in quanto italiani ed europei non sappiamo che farcene di americani e zulù. E’ vero, noi non abbiamo i grattacieli e neppure le quadruplici ferrovie sotterranee. La nostra civiltà sta incisa sulle pietre e sui marmi del Foro. Rovine? Rovine, è vero, che noi repubblichini abbiamo onorato difendendole da vivi e quelli di noi che sono caduti continuano ad onorare con la propria morte.
- Ai giovani che hanno voglia di conoscere la nostra storia passata, qui di seguito, attraverso un mio ricordo del passato pubblicato sul mensile “Nuovo Fronte” circa venti anni fa, c’è il ritratto di un giovane professore dell’epoca che contribuì a formare il mio carattere, la mia personalità.

- E’ una razza di educatori scomparsa.

Grazie Comandante

Roma, ottobre 1943; pur con la guerra in casa le scuole riprendono normalmente l’inizio dell’anno scolastico 1943/44. Frequentavo l’Istituto Tecnico Commerciale “Duca D’Aosta” di via Tuscolana, a Roma, iscritto alla terza media. I primi giorni di scuola furono un semplice atto di presenza, poiché risultava difficile mettere insieme un corpo di insegnanti, dopo che molti si erano imboscati per non collaborare con il nuovo stato della Repubblica Sociale Italiana. Gli Alleati avanzavano verso Roma e quindi era cosa “ buona e giusta” pensare al futuro e non ci fu verso di racimolare il numero sufficiente di insegnanti per dare inizio alle lezioni, cosicché le Autorità del tempo decisero di accorpare il più possibile le scuole aventi lo stesso indirizzo scolastico e quindi fummo tutti trasferiti all’Istituto Tecnico Commerciale “Carlo Moneta”, ubicato alla periferia di Roma, al quartiere Quadraro, vicino all’aeroporto militare di Centocelle. Fu in questa scuola che avvenne l’incontro più straordinario della mia vita, al punto che ne condizionò le successive scelte. Alla prima lezione di educazione fisica nella palestra scolastica conoscemmo il nostro professore, un giovane dal volto di asceta, mingherlino, con uno sguardo dritto e fiero. Non aveva nulla del giovane sportivo, dell’atleta, quali erano normalmente i professori di educazione fisica. Si presentò: “Sono il vostro professore di educazione fisica, se non arriveranno altri insegnanti, sarò anche il vostro professore di storia e geografia; mi chiamo, Raffaele Galluzzo”. Gli altri professori non arrivarono a completare l’organico della scuola e così c’è lo ritrovammo anche come insegnante di storia e geografia. Nonostante il suo aspetto serio e riservato, simpatizzammo subito ed essendo anche un ufficiale del Comando Provinciale di Via Fornivo della rinata O.N.B. iniziò immediatamente un opera di “ captazione” verso di noi, affinché aderissimo “volontari” ai nuovi nuclei giovanili fascisti. Molti di noi aderirono e per me iniziò il “volontariato” della mia vita. Fu costituito tra tutti i giovani aderenti un nucleo speciale di “pionieri” la cui attività consisteva in azioni propagandistiche nei quartieri popolari di Roma, azioni di soccorso alla popolazione durante i bombardamenti alleati, scorta ai “cascherini” (tipici portatori di pane dell’epoca, con ceste e triciclo, per consegnarlo dal forno ai vari negozi di distribuzione, che spesso venivano assaliti dalla popolazione affamata), e poi visite alle retrovie del fronte di Nettuno. Per pochi di noi Raffaele Galluzzo non era più il professore ma il “Comandante”. Poco sapevamo della sua vita. per essere egli un tipo schivo e riservato. Sapevamo solamente che era figlio unico e viveva con la madre in un appartamento di proprietà al centro di Roma, in via Firenze 50, dove qualche volta lo accompagnavamo. La prima volta che ci portò a visitare le retrovie del fronte di Nettuno ci accorgemmo che parlava correntemente la lingua tedesca, perché nei posti di blocco dei militari germanici presentava il suo lasciapassare e conversava nella loro lingua. Ero affascinato da quell’asceta…Avvicinandosi l’occupazione di Roma da parte degli Alleati, il gruppo di “pionieri” promise al comandante Galluzzo di seguirlo nel nord Italia dove il comando Provinciale di via Fornovo si accingeva a trasferirsi. Ci demmo appuntamento il giorno 3 giugno 1944, alle ore 8, nella palestra della scuola “Carlo Moneta”, dove operava il nostro piccolo nucleo, ma fui il solo a presentarmi. Il Comandante Galluzzo è deluso. Gli alleati sono a pochi chilometri da Roma. Nel giardino della scuola scaviamo una buca per nascondere due moschetti 91 con relative cartucce e usciamo, prendendo le strade di campagna, onde evitare di passare per il quartiere che si stava preparando per ricevere i nuovi padroni, gli Alleati. A piedi, verso le ore 12, arriviamo a Porta S. Giovanni. “Faccia che intenzioni hai?” Mi chiede. “Vado al nord Comandante” gli rispondo. Io resto a Roma” fu la risposta del Comandante Galluzzo, aggiungendo subito dopo: “ Cerco di organizzare la guerriglia contro gli Alleati”. Ci abbracciammo…”Buona fortuna Comandante”, lo salutai. “Faccia, al nord fatti onore” fu il suo saluto – incitamento. Ma chi era Raffaele Galluzzo, oltre che un educatore di giovani? Lo seppi solamente a guerra ultimata, da sua madre e consultando l’enorme biblioteca e documentazione di cui disponeva questo giovane Comandante dell’. O.N.B., classe 1924. Ho già raccontato in un libretto la mia esperienza militare nella R.S.I., iniziando proprio da quando lasciai Roma con gli Alleati che già calpestavano la via dell’Impero. A Moncalieri, vicino a Torino, mi capitò di leggere un foglio – notiziario del P.F.R. di Torino che riportava la cronaca di una manifestazione di giovani fascisti organizzata dal Comandante Provinciale dell’O.N.B. tale Raffaele Galluzzo, “Cristo, sarà lui?” Mi dirigo come un fulmine dal mio comandante italiano, tenete Delfino, e gli chiedo di mettermi subito in contatto con le autorità del P.F.R. di Torino, per conoscere se quel Raffaele Galluzzo proveniva da Roma. Si era lui! Seduta stante, chiedo al tenete Delfino un permesso speciale per andare a Torino per fare una “sorpresa” al Comandante Galluzzo. Niente permessi, la batteria non può rimanere sguarnita di un mitragliere…Insisto col tenente Delfino e lo convinco ad intercedere presso il Major Sperling, comandate operativo del gruppo Flak, con una mia battuta che trovò accoglienza da parte del tenente Delfino: “ma signor tenente, i tedeschi nell’addestramento ci hanno anche insegnato a sparare con i cannoni e le mitragliere con i morti e feriti nelle piazzole, per cui per una mezza giornata potrei essere considerato morto…”. Riesco a spuntarla e il giorno seguente, subito dopo il rancio, prendo il trenino che da Moncalieri porta a Torino. Un avanguardista del Comando Provinciale dell’O.N.B., di Torino mi accompagna dal Comandante Galluzzo. Un abbraccio che dura ancora….l’ultimo! Per alcuni minuti rimaniamo in silenzio, tanta era la commozione. Mi dirà poi che, nauseato e schifato da come ha visto il popolo romano accogliere gli Alleati, irritato nel vedere la sua Roma calpestata dalle orde del generale Juin (dopo la fine della guerra capirò ancora meglio questa sua posizione), aveva deciso di lasciare Roma verso la meta di giugno e attraversando le linee era passato poi ad assumere il comando provinciale dell’O.N.B. di Torino. A tarda sera, prima di congedarmi da lui gli dissi che, se avesse avuto bisogno di me, lui stesso avrebbe potuto interessarsi per il mio trasferimento. “No, Faccia, c’è bisogno di combattenti. Tu sei già preparato e addestrato, mentre qui io preparo gli animi di altri futuri combattenti”. Addio Comandante! Non sapevo che salutandoTi non Ti avrei rivisto mai più! Concedimi il “Tu” adesso che la mia anima è sempre più vicina ad incontrare la Tua. Te ne andasti da Torino il 26 aprile 1945 con quel che restava dei Tuoi ragazzi, ma, arrivato a Caluso, disarmato,Ti bloccarono i partigiani e appena saputo chi eri…E’ crudele, è impietoso che io lo racconti, ma è ora che si sappia di quali e quanti carnefici era fatta la resistenza, se ancora ce ne fosse bisogno. Tu, così gracile, delicato, tutto spiritualità…Ti spaccarono letteralmente le ossa a bastonate e pretendevano che Tu, quasi moribondo, Ti scavassi la fossa con le tue mani. Non gliel’hai fatta e allora, mentre agonizzavi, i partigiani vollero offrire al popolo festante di Caluso il più grande “spettacolo” di ferocia disumana, indegno anche di una tribù di cannibali: T’impiccarono, morente, a un albero! Quello che sto descrivendo adesso è intriso di lacrime, perdonameLe Tu che non hai dato la soddisfazione ai partigiani assassini di vederTi piangere e lamentarTi. E’ il racconto che gli stessi carnefici, tronfi di gloria, hanno fatto a Tua madre, quando arrivò a Caluso per raccogliere le tue povere ossa. E, come se non bastasse, questi sporchi, luridi assassini partigiani organizzarono anche una specie di “serenata” sotto la finestra della modesta pensione dove alloggiava Tua madre, tanto che, dovettero intervenire i carabinieri per far smettere quei crudeli sfottimenti verso la madre di un fascista. E il giorno della Tua partenza per Roma, dopo che Tua madre aveva terminato le formalità burocratiche per il trasloco della salma, incluso il riconoscimento necroscopico, in ferrovia…I carabinieri dovettero presidiare la stazione, per evitare a Tua madre gli ultimi oltraggi dei tuoi carnefici. Tua madre, una donna esile quanto Te, una fervente Terziaria Francescana, dotata di grande coraggio! Lo hai visto da lassù cosa accadde prima della partenza del treno. Tua madre riuscì, non vista, a salire sulla carrozza – bagagliaio, dove avevano caricato la Tua salma. La partenza del treno subì un notevole ritardo, perché questa Tua santa madre non ne volle sapere di scendere dal bagagliaio per viaggiare in una normale carrozza di viaggiatori. Capostazione, parroco, maresciallo dei carabinieri tentarono di convincerla, ma non ci fu niente da fare: non potevano usare la forza verso quella piccola, mite donna, che chiedeva soltanto di rimanere accanto al proprio figlio. Da Caluso a Roma, in ginocchio, accanto alla Tua bara, pregando e parlandoTi. Poi il giorno del Tuo funerale, alla basilica di Santa Maria degli Angeli. Tu da lassù avrai certamente sorriso e perdonato. Eri tornato finalmente nella Tua Roma! Pretendemmo dal parroco che togliesse il catafalco, perché il funerale fosse celebrato “ more nobilium”. Con la bara a terra. La guardia d’onore era formata da me e da altri due ragazzi che non ti avevano seguito al nord (Vizzinisi e Bianchi), oltre al generale Renato Ricci, Comandante Generale dell’O.N.B., e poi Marchesi, Franci e altri ancora. Era una giornata di pioggia fitta: il cielo era completamente oscurato da nubi nere e dense, ma al momento della benedizione della salma… Tu, che eri già in Alto, che eri e sei in quell’angolo di cielo riservato ai martiri, i più vicini all’Onnipotente, devi sapere qualcosa a proposito di quel miracolo che si verificò al momento della benedizione della Tua salma: dalle vetrate colorate della basilica entrò improvvisamente un fascio di luce, che come un riflettore, illuminò la Tua bara e la figura di Tua madre, inginocchiata accanto a Te. Rimasi pietrificato dinanzi a quello spettacolo così trascendentale. Ricordo che il generale Ricci, davanti a me si irrigidì sull’attenti per vincere la commozione. Ti prendemmo sulle spalle e, alternandoci, Ti portammo sempre a spalla, la bara ricoperta del tricolore e davanti il carro funebre vuoto. Volevamo portarti noi al cimitero del Verano, sotto il sole splendente di Roma, miracolosamente riapparso nel cielo dell’Urbe. La città salutava così uno dei più grandi studiosi delle sue vestigia. Frequentai poi assiduamente la Tua mai rassegnata madre “Perché sono stati così cattivi con il mio Raffaele? Cosa ha fatto di male?”. Cercai di darle un po’ di conforto, intitolando la sede di allora dell’M.S.I. dell’Appio – Latino – Metronio a Raffaele Galluzzo, dandole così l’illusione che l’opera del suo Raffaele continuava a dare i suoi frutti ( ma, ahimé!) Ebbi così modo di conoscere chi eri, oltre che un educatore di giovani. Di Te, Comandante, ho saputo poco fino alla Tua morte. Non sapevo che eri il “Pierino Gamba” dell’archeologia, della storia antica di Roma e dell’antica Grecia. A quattordici anni conoscevi il greco antico e la lingua di Cicerone e quando Tua madre mi mostrò varie foto dove, bambino prodigio, in calzoni corti, illustravi le rovine del Foro Romano a un gruppetto di studiosi delle civiltà antiche di Roma e di Grecia capii in tutta la sua bestiale efferatezza il crimine dei partigiani. Non avevi diplomi né lauree, come mi raccontò Tua madre, perché al liceo Ti avevano “ licenziato” d’autorità, in quanto già appartenevi o meglio rappresentavi una gloria della cultura italiana e il Tuo posto era tra i grandi. Ma alla gloria di studioso preferisti la missione di educatore di giovani. Tua madre, che aveva un debole per me, che ero stato l’unico a seguirTi, o precederTi al nord mi volva lasciare tutto, in quanto non aveva che te al mondo. In principio avevo pensato di accettare, ma poi, passando ore a casa. Tua ad esaminare, catalogare, impacchettare i documenti della Tua enorme produzione scientifica, gli scritti su riviste specializzate, i saggi, i tanti riconoscimenti ufficiali da parte delle autorità, di istituti di studi romani, dinanzi a quel Tua sterminato sapere, pensai che tutto quel ben di Dio non mi apparteneva. Pensai: è dello Stato, anche se questo è uno Stato nato sul Tuo sangue e su quello di altri centomila fascisti e aggiungo: anche se questo è uno Stato ora rappresentato da un Presidente della Repubblica che ha mandato a morte un fascista innocente. Come innocente eri Tu. Ma non potrà continuare così. Vorrei poter incontrare i tuoi assassini, se fossero ancora in vita, e sono certo che dinanzi a me, a un “ Tuo giovane fascista “, abbasserebbero gli occhi per la vergogna di essere stati dei partigiani. Comandante Raffaele Galluzzo, sai cosa mi rimane materialmente di Te? Ma tu lo sai… un diploma mancato. Durante la nostra attività di “pionieri” io, lo confesso, abusai di Te, poiché studiavo le altre materie, ma storia e geografia le sfioravo solamente: eri Tu il mio professore e …sì, contavo su una Tua benevola considerazione in sede di scrutini. Tra gite nelle retrovie del fronte di Nettuno, attività propagandistica, etc. mbè pensavo che mi avresti dato il classico “scappellotto” promuovendomi. Macchè! Non ho il diploma della terza media. Promosso in tutte le altre materie, ma rimandato a ottobre del ’44…ma ero a fare la guerra nella RSI. Poi…Grazie. Comandante!Quel diploma mancato è il più bel ricordo che ho di Te. Il ricordo di un educatore di razza massacrato sull’altare della “resistenza”

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Verrà un giorno di sole in cui l'onore riprenderà il suo posto sostituendosi all'infamia che impera ora.....verrà certamente....e sarà questo il giorno in cui i nomi dei Martiri risuoneranno alti all'appello della patria rinata .

Grazie Compagno Fascista Angelo per averci fatto conoscere un umile eroe di cui mai avremmo trovato traccia nei grotteschi libri di storia di questa misera Italia prostrata e serva .

Grazie e, non temere, seppur può sembrare impossibile, quel giorno di sole lo vedrai .

Sergio De Biasio - soldato politico del Pensiero Fascista .

Anonimo ha detto...

Sono arrivato qui "grazie" ai commenti sarcastici di un altro blog.
Molti italiani, giovani e meno giovani, SANNO come, troppe volte, sono andate le cose in quegli anni!
Pochi lo ammettono, ma molti sanno.
Un giorno la storia verrà letta con occhi ripuliti dall'odio e dalla faziosità.
L'onore e gli ideali (oggi considerati nulla) torneranno a scaldare i cuori!
E questo mondo "fatto di niente vivrà di nuovo".
Da troppo chi insegna ai giovani pensa al suono della campanella invece di dargli valori fondamentali per reggere agli schiaffi della vita.
Vai avanti (perdonami il tu), ce n'è bisogno!
Mario
mario.bianchi@email.it